Cosa mi ha insegnato il covid con i bambini?
Riflessioni per offrire risposte nutrienti ai nostri bambini
Riflessioni per offrire risposte nutrienti ai nostri bambini
Ci sono molte cose che ha insegnato il covid stando a contatto con i bambini. Con questo articolo della psicologa psicoterapeuta cattolica D.ssa Francesca Rossi ospitiamo una riflessione su ciò che il lavoro con i bambini durante il covid ha insegnato a chi come lei si occupa di relazione d’aiuto a livello professionale, e parallelamente cosa dovrebbe insegnare ad ogni genitore. Emerge la necessità di offrire non solo rassicurazione e di fare emergere l’emozione, ma anche e soprattutto di fornire delle risposte di senso alle domande esistenziali che vengono poste dai bambini agli adulti.
I toni rassicuranti non sono sufficienti
All’inizio della pandemia abbiamo visto alcuni video in cui bambini spiegavano ad altri bambini le norme comportamentali per fronteggiare il virus e per contenere il contagio; lettere pubblicate sui giornali rivolte ai bambini che, con toni rassicuranti, spiegavano le iniziative sanitarie per trovare una cura; poesie che spiegavano ai bambini che cosa fosse questo coronavirus.
Queste sono state le uniche iniziative pubbliche che hanno preso in considerazione i bambini e hanno cercato di rendere per loro più comprensibile e meno paurosa la pandemia.
I bambini pongono domande di senso
Sono state iniziative sicuramente apprezzabili: hanno cercato di non sovraccaricare i bambini di angoscia e hanno fornito elementi per rassicurare o addirittura per dare una sensazione di controllo su questo evento così imprevedibile e sconosciuto.
I bambini però chiedono: “Ma quando moriamo dove andiamo?”. Le domande esistenziali non sono state prese in considerazione: di fronte alle malattie o ai lutti vissuti direttamente o indirettamente (attraverso conoscenze personali o le informazioni generaliste passate dai mass media) il tema della morte non è stato affrontato.
Di fronte alla morte, ma anche di fronte alla nostalgia, alla rabbia, alla paura, alla tristezza i bambini chiedono un senso, un significato, una ragione.
Risposte digeribili senza minimizzare
Noi adulti, genitori, educatori, terapeuti, abbiamo risposte che sappiano rassicurare, senza generare angoscia? Ma soprattutto sappiamo dare risposte di verità? Occorre dare risposte “digeribili”, che tengano conto dell’età e delle capacità cognitive ed emotive di ogni bambino, ma che dicano sempre la verità perché “le bugie hanno le gambe corte” e i bambini lo sanno, perché chiedono di sapere e di conoscere le ragioni di ogni cosa. Sono i famosi “perché” con cui ad una certa età ci assediano e non si accontentano dei “perché sì”, “perché è così”, “perché lo dico io”…
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Le risposte degli adulti non possono sminuire l’importanza delle emozioni vissute dai bambini ma, allo stesso tempo, le risposte non possono restare imprigionate nelle emozioni (cfr. Magda Arnold). I bambini prima di tutto hanno bisogno di veder riconosciute le loro emozioni ed essere aiutati a dar loro un nome.
Il coraggio di non lasciare i bimbi in preda alle proprie emozioni
Gli adulti devono essere bravi a non spaventarsi davanti ai vissuti negativi dei loro bambini, che magari sarebbero tentati di negare, di bonificare, di sminuire o di non ascoltare. In questo modo incarnano e insegnano il coraggio. “Sei triste perché non puoi vedere i tuoi amici”; “sei arrabbiato perché il papà è morto”; “hai nostalgia della scuola”… A questo punto abbiamo due opzioni.
Possiamo lasciare il bambino in balia delle sue emozioni, ma i suoi comportamenti saranno reattivi rispetto al dolore che prova e difficilmente lo aiuteranno a stare meglio, oppure possiamo stimolarlo a ordinare le sue azioni secondo intelligenza e volontà per scegliere il comportamento da mettere in atto.
Allora, senza negare il dolore, il bambino diventerà capace di viverlo senza permettergli di prendere il sopravvento, inoltre cercherà buone e giuste consolazioni. Ma troverà consolazione piena solo se noi adulti sapremo comunicargli e trasmettergli il senso del dolore e della morte.
Trasfigurare la paura delle morte
Proprio come Gesù, risorto dopo una dolorosa passione e una morte durissima, anche noi abbiamo la possibilità di attraversare grandi fatiche, apparentemente insormontabili, per rinascere ad una vita piena e felice.
In questo modo possiamo aiutare i bambini a scoprire che le cose brutte e faticose non sono solo negative: nell’affrontarle si nasconde la possibilità di vedere che si è capaci di comportamenti virtuosi che rendono migliori, che fanno diventare “Grandi veramente”, che rendono capaci di amare anche nella fatica; che ci rendono capaci di scorgere un pezzetto di Verità.
Francesca Rossi è laureata in Psicologia Sociale e dello Sviluppo all’Università Cattolica di Milano ed è una psicologa con ventennale esperienza nell’area della psicologa clinica dello sviluppo. È parte del direttivo dell’Associazione di Psicologia Cattolica. Ogni 3° mercoledi del mese conduce la rubrica radiofonica “non di solo pane… i bisogni esistenziali dei bambini” su Radio Mater e sta pubblicando nel suo canale YouTube delle storie dedicate ai bambini durante la pandemia di covid.
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