Cosa significa preghiera di intercessione?
La vera intercessione si ottiene stando nel mezzo senza stancarsi
La vera intercessione si ottiene stando nel mezzo senza stancarsi
Come si fa intercessione? Una domanda non scontata, visto che spesso ci viene chiesta, oppure chiediamo a nostra volta, una preghiera o un ricordo spirituale…
Il Cardinal Carlo Maria Martini ha sviluppato l’argomento dell’intercessione nel lontano 1961, ma le sue sono riflessioni ancora molto attuali, perché affrontano anche i temi della RISOLUZIONE DEL CONFLITTO che, mai come in questi tempi, sentiamo incombenti e spaventosi.
Intercedere significa stare in mezzo
Intercedere non vuol dire solo “pregare per qualcuno” come spesso si pensa. Etimologicamente significa “fare un passo in mezzo”, mettersi nel centro di una situazione, posizionarsi dove il conflitto ha luogo, porsi tra le due parti. Non si tratta quindi solo di articolare un bisogno e una richiesta a Dio stando al riparo.
Non è neppure assumere la funzione di arbitro o di mediatore, cercare di convincere uno dei due che ha torto, oppure invitare i due a farsi qualche concessione reciproca per giungere ad un compromesso. Chi si comporta in questo modo rimane estraneo al conflitto e se ne può andare in qualunque momento, magari lamentando di non essere stato ascoltato.
Intercedere è un atteggiamento molto serio e coinvolgente, qualcosa di molto più pericoloso. Intercedere è stare là, senza muoversi, cercando di mettere la mano sulla spalla di entrambi e accettando il rischio di questa posizione.
Quando Giobbe si trova disperato davanti a Dio, che gli appare come un avversario con cui non riesce a riconciliarsi, grida: “Chi è dunque colui che si metterà tra il mio giudice e me? Chi poserà la sua mano sulla sua spalla e sulla mia?” (Gb 9,33-39).
Intercessione è entrare nel cuore della situazione
Quindi chi fa intercessione si deve mettere in mezzo, deve entrare nel cuore della situazione, deve stendere le braccia a destra e a sinistra per unire e pacificare. È il gesto di Gesù Cristo sulla croce: si è posto nel mezzo di una situazione insanabile, perché era solidale con le due parti in conflitto, anzi i due elementi in conflitto coincidevano in lui: l’uomo e Dio.
Per questa duplice solidarietà ha messo in conto anche la morte, ha accettato la tristezza, l’insuccesso, la tortura, il supplizio, l’agonia e l’orrore della solitudine esistenziale fino a gridare: “Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?” (Mt 27,46).
Quindi per l’intercessione cristiana evangelica è necessaria una duplice solidarietà. Occorre potere e volere abbracciare con amore e senza sottintesi tutte le parti in causa. Occorre resistere in questa situazione anche se non capito oppure respinto dall’una o dall’altra parte, anche se occorre pagare di persona. È necessario perseverare pure nella solitudine e nell’abbandono. È indispensabile avere fiducia soltanto nella potenza di Dio, e fare onore alla fede in Colui che risuscita i morti.
È chiaro: tale fede è difficile, per questo l’intercessione vera è difficile. Ma se non vi tendiamo, la nostra preghiera sarà fatta con le labbra, non con la vita. Una delle modalità di intercessione è la SOLIDARIETÀ INTERGENERAZIONALE che avviene attraverso la Comunione dei Santi.
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Si intercede “per” e non “contro”
Se una preghiera intercede perché il Signore soccorra l’uno e abbatta l’altro, ignora il bisogno di salvezza di chi è nel torto, e magari ha scelto contro Dio e contro il fratello, e lo abbandona, non gli mette la mano sulla spalla e la sua non è una preghiera di intercessione.
Se facciamo scelte esclusive nel nostro cuore, e condanniamo e giudichiamo, non siamo più con Gesù Cristo, nella situazione che lui ha scelto, e dobbiamo dubitare della validità e della genuinità della nostra preghiera di intercessione.
Un simile atteggiamento non calpesta le esigenze della giustizia. Infatti non viene chiesto di mettere sullo stesso piano assassini e vittime, trasgressori della legge e difensori della stessa, ma solo di non essere indifferenti e giudicanti verso le persone che sbagliano, di non provare odio o azzardare giudizi interiori di condanna, e neppure di scegliere di stare dalla parte di chi soffre maledendo chi fa soffrire. Gesù non maledice chi lo crocifigge, ma muore anche per lui dicendo: “Padre, non sanno quello che fanno, perdona loro” (Lc 23,34).
L’intercessione diventa uno stile di vita permanente
Questo “mettersi in mezzo” non va concepito come temporaneo mezzo tattico, tanto per superare un’emergenza. È chiamato a diventare il modo di essere di chi vuole operare la pace, del cristiano che segue Gesù. Non abbiamo il diritto di restare in una situazione difficile solo fino a quando è sopportabile. Occorre volerci restare fino in fondo, a costo di morirci dentro.
Solo così siamo seguaci di quel Gesù che non si è tirato indietro nell’orto degli ulivi. Stare là in pura passività, senza alcuna azione politica o alcun clamore, fidando solo nella forza della intercessione. Stare là, come Maria ai piedi della croce, senza maledire nessuno e senza giudicare nessuno, senza gridare alla ingiustizia o inveire contro qualcuno.
Elisabetta Fezzi è giornalista e scrittrice creativa. È consulente relazionale esistenziale, counselor professionista ed esperta di scrittura autobiografica. È co-fondatrice e presidente della Famiglia della Luce con Camilla
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