La ferita, il dolore e la cura
Trasfigurare l’esperienza dolorosa e rimarginare le ferite.
Trasfigurare l’esperienza dolorosa e rimarginare le ferite.
Con questo articolo di Mariella Borraccino ospitiamo una riflessione su la ferita, il dolore e la cura frutto delle sue pluriennali esperienze nella relazione d’aiuto. La sofferenza porta sempre con sé una fatica che può essere affrontata con modalità diverse a livello materiale, psicologico e spirituale. Scopriremo come lasciarci curare, come giungere a trasfigurare l’esperienza dolorosa e come rimarginare le ferite.
Le situazioni di dolore psico-spirituale sono state accentuate dalla situazione sociale attuale
In questi ultimi mesi, in modo ricorrente, mi sono imbattuta in situazioni particolarmente dolorose: storie di persone con cui ho in corso una relazione di aiuto, ma anche persone amiche o conoscenti, toccate personalmente o indirettamente dal Covid e dalle sue conseguenze, oppure fortemente segnate da altre numerose prove.
Persone il cui silenzio o le cui parole mi hanno fatto toccare un dolore dalle molteplici espressioni: amori spezzati, promesse tradite, persone care perdute, ingiustizie subite o inflitte, lavoro perso, malattie gravi, figli allontanati, abbandoni, errori pesanti commessi, conflitti degenerati, rimorsi o risentimenti martellanti.
Sono certa che questa sia esperienza comune a quanti sono chiamati quotidianamente a prendersi cura del prossimo, sia a livello professionale che personale. Ognuna di queste storie mi interroga profondamente poiché dalla loro narrazione, emergono prepotentemente domande di senso: Perché il dolore? Come starvi di fronte? Come gestire il grande subbuglio interiore che genera? Come non soccombere?
Papa Giovanni Paolo II ha conosciuto il dolore e lo ha trasfigurato
La ricerca di un perché rispetto al dolore è un’esigenza della ragione umana, poiché il soffrire può dirsi umano solo se è accompagnato da una domanda di senso. Scrive in proposito Giovanni Paolo II nell’esortazione Salvifici doloris, del 1984: “All’interno di ogni singola sofferenza provata dall’uomo e, parimenti, alla base dell’intero mondo delle sofferenze, appare inevitabile l’interrogativo: perché? È un interrogativo circa la causa, la ragione, lo scopo e, in definitiva, circa il senso. Esso non solo accompagna l’umana sofferenza, ma sembra addirittura determinarne il contenuto umano, ciò per cui la sofferenza è propriamente sofferenza umana” (n 9).
All’interno di ogni relazione di aiuto, per poter accompagnare la persona che mi pone tali domande e aiutarla a trovare una risposta, sono chiamata a rispondervi innanzitutto io stessa per prima. Queste domande sul dolore, infatti, sono domande esistenziali, ossia riguardano il senso totale della vita, della realtà, dei fondamenti della realtà, ovvero Dio.
Rimandano cioè a desideri profondi e strutturali dell’umano quali il desiderio di felicità, di pienezza, di bellezza, di perfezione, di giustizia che riguardano ogni persona ma che sono particolarmente destati in chi soffre.
La ricerca di un senso implica delle domande e delle risposte
Mi è sempre più chiaro che nella relazione d’aiuto siamo chiamati ad accompagnare le persone che aiutiamo nella ricerca di significato. E siamo anche chiamati a trovare all’occorrenza modalità inedite per dischiudere vie di senso e far intravvedere percorsi di accesso alla verità. Perché ciò sia possibile sento viva l’esigenza di accedere continuamente io stessa a tali percorsi, per continuare a tener desto in me la dimensione di senso che ho scoperto attraverso la fede. Solo se tale senso continua ad essere vero per me, può esserlo per chi incontro, generando fascino. È stato grazie a questa dinamica dell’incontro, infatti, che questo è stato possibile per la mia vita.
Nella Settimana Santa di quest’anno particolarmente segnato dalla prova a causa della pandemia, mi è stato di conforto meditare sulla Passione di Gesù che, attraverso i vari momenti dolorosi e cruenti che l’hanno caratterizzata (l’arresto, l’umiliazione, gli schiaffi, gli sputi, il vilipendio della dignità, l’ingiusto giudizio, la flagellazione, la coronazione di spine, lo scherno, il cammino con la croce, la crocifissione e l’agonia – tutte espressioni di massimo patimento fisico e spirituale) conduce alla gioia della Resurrezione.
Passione e Resurrezione, infatti, descrivono in modo sintetico il nesso tra il dolore e la gioia, tra il male e il bene che connotano ogni esperienza umana.
Il dolore è una passione di tristezza che coinvolge emozioni e pensieri
Come sempre San Tommaso d’Aquino è di grande aiuto a chiarire in modo semplice cose complesse. Egli considera il dolore la passione per eccellenza. Per San Tommaso le passioni sono sinonimo di emozioni e sentimenti.
A suo avviso fra tutte le passioni il dolore (o quella che lui definisce, con un’accezione più ampia, la tristezza) è quella che più efficacemente può essere definita tale. Quando l’anima soffre, che sia afflitta da un dolore fisico o morale o spirituale, è agitata più profondamente che in qualsiasi altra circostanza. Non a caso nella Somma Teologica Tommaso dedica al dolore più spazio che a qualsiasi altra passione, poiché si tratta di una esperienza totalizzante.
Le afflizioni interiori, in particolar modo, colpiscono lo spirito alla radice e agiscono più profondamente specie quando l’uomo ha dimenticato chi è o non ne è pienamente consapevole. Secondo Tommaso, di fronte all’esperienza del dolore siamo chiamati a confrontarci con esso con ragionevolezza e virtù.
La ragionevolezza ce lo fa riconoscere come un mezzo e non un fine. Mentre la virtù da una parte ne modera gli eccessi che impedirebbero il ragionare (temperanza), dall’altra ci sprona a contrastarlo (fortezza).
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Il dolore può risvegliare l’anima e diventare opportunità di crescita
Quante volte abbiamo sperimentato con sorpresa in noi e negli altri che il dolore può essere il grande “risvegliatore dell’anima”, perché fa nascere quell’essere che senza il dolore ignorerebbe di esistere e di valere enormemente. L’anima corrisponde alla psiche, e a volte nel linguaggio biblico viene anche identificata con il cuore. L’uomo ha dei luoghi nel cuore che soltanto il dolore fa venire alla luce, penetra e porta allo scoperto.
Andando a fondo del proprio dolore, l’uomo scorge che ciò che appare un vicolo cieco, un lungo tunnel senza via d’uscita, in realtà è un percorso di verità e di bene che conduce alla luce.
San Paolo descrive le afflizioni a cui tutta la creazione è sottoposta con l’immagine delle doglie del parto che ben rappresentano l’itinerario umano che dal dolore conduce alla gioia dell’esplosione della vita, proprio come la Resurrezione irrompe come esplosione di nuova vita dopo una Passione così atroce. Questa è dunque la traiettoria dell’umano per raggiungere il fine ultimo che è il bene pieno sotteso al desiderio di felicità: questo è il metodo sapiente e misterioso di Dio per condurre ogni uomo a Sé, bene Supremo, e che non ha risparmiato neanche a suo figlio, divenuto uomo.
Di fronte all’esperienza del dolore possiamo rispondere avviando con esso una battaglia che, come spesso sperimentiamo nel nostro lavoro di accompagnamento, può manifestarsi con la rabbia e la ribellione, con la negazione, con l’evasione, con la riduzione o con i diversi tentativi di anestetizzazione (con qualsivoglia forma di dipendenza) e tutto ciò che ne consegue. Oppure con una alleanza che, con l’aiuto della fortezza, virtù e dono dello spirito al contempo, ci permette di passarci attraverso e di aprirci uno spiraglio definitivo verso la verità di noi stessi, di Dio e del mondo.
L’obiettivo è trasfigurare il dolore rendendolo fecondo
Accettare che il dolore è un condizione del vivere connaturata all’esistenza è un sano compito di realismo che come cristiani siamo chiamati ad affrontare e a testimoniare. Ma questa posizione di fronte al dolore occorre chiederla. “Chiedete e vi sarà dato, bussate e vi sarà aperto” (Lc 11,9). Si tratta di un’opera dello Spirito Santo. Chiedendo di avere questo sguardo di apertura, di docilità e di credito a questa condizione del vivere, si può sperimentare la letizia pur nell’afflizione, l’abbraccio e la misericordia pur nella prova.
San Tommaso insegna ancora che il dolore e la tristezza sono alleviati dalla contemplazione della verità, e ricorda altresì l’affermazione di Sant’Agostino: «che se alle nostre menti si fosse mostrato lo splendore della verità, o non avrei sentito quel dolore, o l’avrei sopportato come un’inezia». Solo così, nelle piccole o grandi tragedie che segnano la vita di ognuno, si intravede un orizzonte infinito di bene, poiché spesso la tragicità di cui si fa esperienza non è negli avvenimenti ma nella nostra posizione di fronte agli avvenienti avversi.
La tragedia nasce dal rifiuto di “perdersi”, sta nel voler restare attaccati alla propria misura e agli idoli che l’uomo si costruisce. Per il cristiano nulla è così drammaticamente tragico da non poter essere affrontato. L’uomo che si consegna a Dio può attraversare momenti difficili e persino drammatici ma il suo “fiat” – “cosi sia” – rende lieve il giogo. Dentro tale posizione umana ogni forma di asfissia del vivere permette già nel qui e ora di respirare aria pura. Si tratta di trasfigurare il dolore.
Un dimensione di fede con sente di affrontare il dolore con uno sguardo differente
Ma se questa consapevolezza che deriva dalla fede, seppur misteriosa, ci permette di vivere l’esperienza del dolore con la posizione e lo sguardo appena descritti, “forti della speranza che è in noi”, mi domando spesso incontrando persone fragili e ferite che non sono sostenute dalla fede e che sovente vivono l’esperienza del dolore in modo disperante, come offrire sostegno alla loro domanda di significato, come accompagnarle. Perché se la fede ci è data per grazia è per un compito che dev’essere vissuta: qual è davvero il compito di noi terapeuti cristiani? Possiamo essere strumento di speranza per chi è ferito? E come?
La risposta che riesco a dare a tutte queste domande che mi interrogano nello svolgere il mio lavoro ha il suo fondamento nella logica della cura, o più precisamente del prendersi cura.
Come ci è noto ogni persona ha bisogno di essere accolta, guardata, ascoltata, amata per sentirsi viva e in particolar modo chi è vulnerabile, fragile o ferito, come le persone che incontriamo e che ci chiedono aiuto, avverte più intensamente questo bisogno. Questo il primo compito della cura: rispondere al bisogno primario dell’umano, piegarsi su di esso, coltivare una relazione che lo affermi come soggetto e non come oggetto di cura, mettersi in gioco personalmente per creare una relazione che valorizzi la persona e le sue risorse personali, che metta in moto la sua libertà e non lo lasci passivo o mero esecutore di indicazioni terapeutiche, che sappia partecipargli la visione della vita, nella quale trovi senso anche il mistero della sofferenza. Perché la relazionalità crea sempre una persona più forte, più capace di affrontare le sfide della vita, quindi anche le difficoltà, fisiche o psichiche.
• Giovanni Paolo II, Lettera Apostolica Salvifici Doloris, Libreria Editrice Vaticana
• Lewis C.S., Diario di un dolore, Adelphi.
• Tommaso d’Aquino, Somma teologica, I–II, qq. 35-39, Edizioni Studio Domenicano.
• Autori Vari, Il nuovo Aeropago: Dolore il Passaggio. Rivista trimestrale 2/1995 Nuova compagnia editrice.
• Autori Vari, Il soggetto e la cura. Atti del Convegno nazionale, ottobre 2014, Journal of medicine and person.
Mariella Borraccino vanta una lunga esperienza nella relazione d’aiuto come counselor professionista.
Dirige a Milano il centro Family Care che, grazie a un team multidisciplinare, opera a sostegno delle fragilità familiari offrendo percorsi di aiuto volti a mettere in salvo i legami familiari e le relazioni ferite.
È presidente del Sidef, il Sindacato delle Famiglie, un’associazione non profit di utilità sociale che si propone di promuovere l’istituto della famiglia quale soggetto insostituibile per lo sviluppo della società, a partire dalla cultura nascente della tradizione cristiana del Paese. L’associazione tutela dunque la famiglia difendendone e promuovendone i diritti a livello culturale, sociale, politico ed economico e la sostiene con percorsi di crescita umana e spirituale.
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