La memoria: far riemergere ricordi sopiti dal tempo
La scrittura autobiografica riattiva memorie sospese riportandole al presente.
La scrittura autobiografica riattiva memorie sospese riportandole al presente.
In questo articolo la dottoressa Anna Romboni spiega come in un laboratorio di scrittura autobiografica sia possibile far emergere ricordi dal passato che si collegano al presente e preparano ad un futuro più consapevole. Il linguaggio metaforico utilizzato nei componimenti sono una delle modalità che permettono di esplorare anche i ricordi più delicati senza esserne travolti.
All’inizio di un laboratorio di scrittura autobiografia spesso mi si obietta: «Desidero scrivere la storia della mia vita, ma ho poca memoria. Mi ricordo poco della mia infanzia».
Di solito prendo spunto da questa obiezione per rompere il ghiaccio con la penna e il foglio bianco e faccio fare un esercizio sulla memoria: «Cosa è la memoria per te? Con quale metafora la rappresenteresti?»
È interessante notare la varietà di immagini che ne escono: radici di un albero; una stanza insieme calda e fredda; la profondità del mare; un armadio o un baule o un mobile più o meno ordinato; un pozzo; una ragnatela; la cantina o la soffitta di una casa… Ogni volta mi stupisco piacevolmente: la fantasia dei “miei” narratori è inesauribile.
Se poi, in una successiva sollecitazione, chiedo di scegliere alcune parole dei vari scritti e di metterle insieme in un breve componimento, mi emoziono davanti al risultato. Trascrivo uno di questi lavori:
La Samaritana al pozzo – Sieger Koder (1925)
In un pozzo profondo avevo lasciato sedimentare il passato pensandolo innocuo; ora ho deciso, calo il secchio e poi lo tiro su. Nonostante il cigolio fastidioso della carrucola, io continuo, continuo fino a che i ricordi iniziano a danzare nel presente.
E’ sempre emozionante!
Volti e frammenti di vita che erano nascosti dall’inesorabile trascorrere del tempo, impigliati nella ragnatela della memoria, tra l’alternarsi di luci e ombre, prendono contorni chiari e fattezze riconoscibili.
Mi prende stupore e mestizia, malinconia e gioia; poi spontaneo sorge un sorriso.
Un sorriso di gratitudine per chi mi ha fatto sentire importante incoraggiandomi all’alba del mio cammino.
Prendo carta e penna, li scrivo i miei ricordi perché non ricadano nell’oblio di quel pozzo; poi leggo ad alta voce per dare loro vita nuova, consapevole che sono frammenti che hanno determinato quello che sono oggi.
Mi sento integra, in pace, in sintonia con l’universo.
La memoria consente di collegarsi al proprio passato
Ogni persona che vuole scrivere di sé si trova a dover “fare amicizia” con la sua memoria. È stato così anche per Agostino d’Ippona: anche lui si è trovato davanti alle domande che pongo ai miei narratori, e ha “narrato” le sue risposte. Mi permetto di scrivere “narrato” perché sono inserite nel suo libro “Le Confessioni”, la sua autobiografia.
Agostino, infatti, è considerato uno dei più antichi autobiografi, in quanto ha scritto di suo pugno la sua storia. Nel capitolo dieci della sua autobiografia dedica più pagine alla memoria. Non fa una descrizione della memoria come potrebbe farlo uno scienziato, ma racconta la “sua memoria”, personalizzandola.
Accanto al suo racconto allora posso aggiungere il mio, e quello dell’amica e dell’amico che devono rispondere alla stessa questione.
Agostino usa varie immagini, con dolcezza, con fantasia, con sentimento. Non ho alcun desiderio di mettere le mie parole al posto delle sue, ma vorrei trarre da esse un insegnamento per me.
La memoria consente di ordinare il passato
Tra le varie metafore usate, Agostino paragona la memoria anche a un palazzo con tante stanze, dove si accumulano i ricordi ordinatamente riposti: ciò che vi è entrato dalla vista, dall’udito e dagli altri sensi non sono “buttati alla rinfusa” come in quei cesti dei mercati rionali dove i commercianti ripongono gli oggetti da vendere sotto costo.
Nella memoria tutto è ordinato e prezioso.
Ogni oggetto che abbiamo incontrato nella vita attraverso i sensi del nostro corpo, ogni cosa che abbiamo conosciuto attraverso il nostro intelletto, ogni emozione provata è riposta nella memoria. In angoli più o meno remoti.
Da lì, possiamo rievocarli a nostro piacimento. A volte in modo veloce, altre con maggior fatica. Ognuno di noi ha il dovere di tenere sveglia la propria memoria, ciascuno ha il compito di aver cura di ogni frammento che è riposto in essa.
Noi rievochiamo ciò che abbiamo già esperito anche se al momento non ne abbiamo coscienza. Se abbiamo la sensazione di un desiderio è perché in qualche modo quel desiderio è già presente in noi. Se proviamo la malinconia per una mancanza è perché abbiamo “gustato” una presenza.
La memoria deve fare i conti con l’oblio
Agostino anticipa quello che le scoperte delle neuroscienze e della psicodinamica diranno più tardi: non ci ricordiamo del periodo preverbale della nostra vita, ma tutto ciò che abbiamo provato con il nostro corpo è presente nella nostra memoria inconscia. Quindi quando una sensazione si ripresenta noi la riconosciamo come qualcosa che già ci appartiene. Anche se non ne abbiamo coscienza.
Memoria – mente – corpo: sono un’unica realtà; un io difficile da indagare fino in fondo per la sua complessità.
Non c’è solo memoria, scrive Agostino, c’è anche oblio. Meglio ancora: la mente ha memoria dell’oblio. È strano però, perché la presenza dell’oblio significherebbe assenza di memoria, eppure la memoria riconosce l’oblio.
Fanno parte dell’oblio le cose che si dimenticano, e quelle che il corpo vuole dimenticare per andare oltre un trauma. Ci sono anche le memorie indotte dai racconti degli altri e sui quali noi costruiamo altre memorie oppure che si sono sviluppate in modo inconsapevole nel corso della vita.
Anche noi come Agostino possiamo dire: “Siamo veramente molto complessi”.
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La complessità delle memorie intergenerazionali
Considero importante, quando conduco un laboratorio di scrittura autobiografica, tener presente queste complessità, sia per aiutare, attraverso la scrittura, a ricollegare, a mettere insieme, a dare senso ai vari frammenti sparsi nella memoria, sia a lasciar andare sullo sfondo ciò che il o la narrante non desidera rievocare.
Fino a quando il narratore e la narratrice, accolti e protetti dalla scrittura, sentiranno di essere pronti e capaci di sostenere la fatica di scrivere di un ricordo doloroso. Sarà per lui, per lei un momento di libertà.
Agostino continua la sua indagine perché nella memoria vuol ritrovare una Presenza. Così porta altri esempi: se io smarrisco qualcosa ma ne serbo la sua immagine nella memoria, so riconoscerla quando mi si ripresenterà davanti, distinguendola da ogni altro oggetto.
«Una cosa che ci manca non si può neppure cercarla, se l’abbiamo dimenticata del tutto – aggiunge – ma se di essa abbiamo desiderio? Significa che non l’abbiamo del tutto dimenticata».
Agostino con questa meditazione inserita nella sua autobiografia ha uno scopo: dare senso a ciò che interiormente aveva sperimentato: dopo anni di negazione aveva riconosciuto la Presenza di Dio in lui.
La scrittura autobiografica aiuta a ricevere risposte di senso
L’essere umano ha bisogno di legare gli avvenimenti della propria vita, di dare loro un “senso”. Poi ha bisogno di raccontare le proprie emozioni, i propri sentimenti. Ha bisogno di lasciar andare un linguaggio feriale per abbandonarsi alla poesia.
Ha bisogno di sentirsi libero di far emergere anche i pensieri più assurdi: il desiderio, a volte inconfessato, di sentirsi al centro della mente di Qualcuno che, con la sua presenza, garantisca il senso della propria presenza nella vita.
Per Agostino la relazione con Dio (così traduco la parola grazia) è una possibilità, non una costrizione, una possibilità di libertà per l’uomo.
Per analogia anche la relazione dell’accompagnatore autobiografico con il narratore e la narratrice è possibilità di libertà se in chi conduce e facilita c’è la consapevolezza di avere il compito di favorire il rifiorire dell’altro, di lasciarlo essere ciò che è.
In altri termini: aver cura dell’altro perché egli possa aver cura di se stesso e, poiché siamo in ambito autobiografico, di aver cura del racconto della sua storia.
Attraverso la scrittura autobiografica è possibile far emergere memorie dal passato e fare amicizia con esse. Abbiamo anche visto che non c’è solo memoria ma anche oblio e che il riaffiorare delle memorie è collegata al bisogno di senso, per questo è utile riconoscere e valorizzare la complessità delle proprie memorie per vivere in modo più consapevole il presente e costruire un futuro migliore.
Sono counselor professionista, esperta di percorsi autobiografici, dottoressa in scienze religiose e consulente del Tribunale ecclesiastico di Verona. Mi piace scrivere e amo la famiglia.
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