Scrivere è… ricchezza e povertà
Un tesoro ricco di sorprese per chi scrive e per chi legge
Un tesoro ricco di sorprese per chi scrive e per chi legge
In questo articolo la D.ssa Anna Romboni, esperta di percorsi autobiografici, ci porta alla scoperta di un binomio apparentemente antitetico che si sviluppa in chi scrive di sé: emergono sia elementi di ricchezza che di povertà. La scrittura è una sorta di ricca eredità per le generazioni future, ma è anche un tesoro ricco di sorprese soprattutto per chi scrive. Il bisogno di narrarsi nasce da una mancanza da colmare, da un bisogno di verità e da un desiderio di nuova libertà.
Un padre benestante decise di portare il proprio figlio a visitare una famiglia di campagna con il chiaro intento di renderlo consapevole di quanto era povera la gente. Si fermarono un giorno e una notte presso una famiglia contadina umile. Sulla via del ritorno verso casa, il padre domandò al figlio: «Ti è piaciuta questa visita?». Il figlio rispose: «Sì, papà, è stato tutto molto bello.». «Hai visto quanto è povera la gente?» continuò il padre. «Sì, papà» soggiunse il figlio. «E che cosa hai appreso da questa esperienza?» lo interpellò il padre. «Mi sono reso conto che noi abbiamo un cane in casa, loro ne hanno quattro.
Noi abbiamo una piscina che va dalla parete fino alla metà del giardino, loro hanno un torrente che scorre sempre. Noi abbiamo una lampada appesa nel patio, loro hanno le stelle come soffitto. Il nostro patio arriva fino alla parete della casa vicina, il loro abbraccia l’orizzonte. Loro hanno tempo per stare insieme e dialogare in famiglia; tu e mamma siete così presi dal lavoro che ho poco tempo per vedervi.».
Davanti alle parole del figlio il padre restò muto e allibito. Il figlio concluse: «Grazie papà per avermi insegnato quanto ricchi possiamo diventare!».
La scrittura rende accessibili contenuti profondi
Spesso ho usato questa storiella per introdurre in modo “leggero e giocoso” argomenti profondi, ad esempio come può essere percepita la realtà a seconda del punto di vista da cui la si guarda, oppure per mettere in risalto il valore dell’essenzialità.
Di recente però me l’ha riportata alla memoria una frase scritta da una narratrice durante un laboratorio di scrittura autobiografica. La riporto: […] D’estate andavo in vacanza dai nonni e ritrovavo immancabilmente i miei amici di gioco. Con loro ero sempre in giro per i campi dal lunedì alla domenica, perché abitando in un paese di campagna non avevano l’abitudine di andare in vacanza: a differenza degli abitanti della città che vanno fuori alla ricerca di spazi verdi per rilassarsi. Loro il verde lo avevano tutto l’anno.
Sono stata piacevolmente stupita e nello stesso tempo mi ha fatto sorgere una domanda: «La scrittura di sé può essere giocata tra “ricchezza e povertà?». Si sono formulate in me delle risposte tratte dalla saggezza della vita raccontata e scritta, risposte che mi piace condividere.
Scrivere è fissare un ricordo
Qualcuno dice che scrivere di sé è un atto di libertà quindi è ricchezza. Altri affermano che scrivere di sé è una debolezza, quindi povertà. Per me scrivere la propria storia è un frammisto di ricchezza e povertà che si intersecano tra loro.
Scrivere è fissare un ricordo; nel ricordo si rivivono fatti, incontri, emozioni. Nel momento in cui sono fissati su un foglio di carta non corrono più il rischio di essere dimenticati e ogni volta che lo sguardo, sfogliando le pagine della propria autobiografia, si posa su di loro ritornano a essere di nuovo presenti a noi stessi.
Restano come memoria indipendentemente dal soggetto che li ha scritti: essi assumono una vita propria. Diventano quindi una ricchezza/valore/opportunità per l’autore, ma anche per chi ascolta, per chi legge! Chi legge vive, attraverso la parola scritta, la situazione narrata come se fosse stato con l’autore là, in quel tempo. Il ricordo allora diventa una duplice ricchezza per chi lo ha vissuto e per chi l’ha potuto esperire attraverso il racconto.
Scrivere è una ricchezza
Scrivere quindi è ricchezza. Diventa eredità per le generazioni future. La nostra memoria cristiana è piena di questa ricchezza.
Contemporaneamente è povertà: mai il ricordo e il racconto del ricordo possono essere pari all’esperienza stessa.
Inoltre il ricordo fa nascere la nostalgia per ciò che si è vissuto, consapevoli che fisicamente non potrà più essere ripetuto: quello resta inevitabilmente nel passato. La nostalgia si può trasformare in malinconia, in senso di mancanza, quando si ha la consapevolezza della discrepanza che esiste tra l’esperienza e il racconto della stessa.
Anche questa povertà appartiene al mondo cristiano. Per quanto intensamente ascoltiamo il racconto del Natale e della Pasqua, mai potremo essere fisicamente presenti in quella Grotta, ai piedi del Calvario, all’annuncio della Resurrezione.
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Il desiderio di scrivere nasce da una mancanza, si percepisce di dover colmare un bisogno e si cerca di farlo andando a cercare dentro la propria storia. Una volta calati dentro di noi, nella nostra realtà che diventa la nostra verità, un altro bisogno ci spinge a raccontarlo, a scriverlo, a mostrarlo, a far vedere la bellezza, la bontà che ci hanno abitato e ci abitano ancora. Di nuovo succede che un bisogno nato da una mancanza, da una povertà produce valore, ricchezza.
Scrivere è arricchirsi della verità di sé
L’autore si svuota di sé (povertà) per creare un testo (ricchezza) indirizzato a un altro: ma proprio l’incontro tra le due dimensioni costruisce una nuova relazione: attraverso il testo narratore e lettore si incontrano.
Allo scrittore serve l’altro cui raccontare per poter mantenere viva in sé stesso l’esperienza: spogliandosi della riservatezza, diventando povero di protezioni e consegnandosi all’altro continuerà a esistere.
Scrivere è arricchirsi della verità di sé e contemporaneamente accorgersi del bisogno che l’altro aggiunga la sua verità su di te; è prendere atto che si desidera che anche altri riconoscano, attraverso la lettura, la nostra verità. Senza un lettore la ricchezza della scrittura si colora di povertà. Senza la scrittura il lettore è povertà assoluta: non esiste un lettore in assenza di un racconto scritto.
Scrivere di sé è rischiare, è mettersi in gioco, è diventare poveri delle proprie certezze per arricchirsi di un nuovo modo di essere che scaturisce dalla rilettura riflessiva della propria storia. Non sempre può piacere ciò che scopriamo di noi stessi, ma partendo dalla consapevolezza delle nostre povertà possiamo “riconvertirci” e fare nuove conquiste.
Scrivere è rileggere nell’oggi la propria vita, riconoscerla, arricchirla della consapevolezza dei doni ricevuti.
Scrivere è dare dignità a ogni pezzetto della nostra storia. È soddisfare il desiderio di essere eletti, di essere guardati; questo avviene perché abbiamo avuto il coraggio di amare il nostro vissuto così come è stato. Non è un atto narcisistico, esso nasce dalla consapevolezza che ciò che siamo nel “qui e ora” è frutto di ogni passaggio della nostra esistenza che è una miscellanea di povertà e ricchezza.
Dare senso a ciò che abbiamo vissuto è ricchezza; una ricchezza che ci sprona a dare il meglio di noi nel presente; è ricchezza che ci proietta in un futuro di speranza.
Scrivere la nostra storia è metterla così come è davanti a Chi ci ama, è offrirla a Lui come atto di abbandono ogni qualvolta diciamo: Padre nostro…
Attraverso la scrittura autobiografica è possibile far emergere memorie dal passato. Durante la scrittura di sé emergono sia elementi di ricchezza, perchè si impara a conoscersi meglio, che di povertà, perchè ci si svuota. Inoltre la scrittura è sia una sorta di eredità per le generazioni future che un tesoro di sorprese per chi scrive. Il bisogno di narrarsi nasce da una mancanza da colmare, da un bisogno di verità e da un desiderio di nuova libertà.
Sono counselor professionista, esperta di percorsi autobiografici, dottoressa in scienze religiose e consulente del Tribunale ecclesiastico di Verona. Mi piace scrivere e amo la famiglia.
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